Allargare lo sguardo da Scilla a Stromboli, accarezzati dal vento insistente della Sicilia, sotto un cielo cangiante che al tramonto offre tutta la propria bellezza. Affacciarsi dai vigneti terrazzati della Tenuta Enza La Fauci è prima di tutto un’esperienza paesaggistica. In queste colline, a 300 metri di altezza, nella piccola frazione di Messina-Spartà, nel punto in cui la lunga catena dei Monti Peloritani si tuffa nel Mar Tirreno dando vita a Capo Peloro, si produce uno dei vini più celebri, rari e ricercati di tutta la Sicilia, il Faro di Messina. Per raccontarlo ho scelto una azienda ‘in rosa’, guidata da una donna di grande temperamento e dai grandi occhi chiari: Enza La Fauci.
Enza mi accoglie e mi mostra la sua tenuta: due ettari e mezzo di vigneti che circondano una ex postazione di caccia, in origine un piccolo casotto costruito in posizione strategica dal padre, appassionato cacciatore, che acquistò il terreno negli Anni Sessanta per poter catturare le quaglie che in queste zone passano di frequente, lungo linee migratorie consolidate. Proprio partendo dal capanno, Enza ha costruito la cantina. Laureata in economia e commercio, comincia a lavorare da giovanissima nell’azienda di famiglia, l’impresa La Fauci, nota nel messinese per la costruzione di laterizi e mattoni già da fine Ottocento. Negli Anni Ottanta, assieme al fratello Giovanni, Enza fonda la distilleria Giovi (il nome deriva appunto da Giovanni e Vincenza). La distilleria nasce per hobby, per gioco, ma quel gioco diventa presto un lavoro. La Giovi, in quel periodo, era una delle poche distillerie della Sicilia in grado di lavorare le vinacce, materiale di scarto della lavorazione delle uve.
Alla distilleria Giovi facevano riferimento i grandi produttori dell’isola, da Marco de Bartoli al conte Tasca d’Almerita, da Carlo Hauner (il noto produttore di Malvasia nell’isola di Salina) a Ignazio Miceli. Enza li frequenta, li conosce, diventano amici. Dalla conoscenza dei vignaioli, l’interesse si sposta verso il mondo del vino, con una passione particolare per le uve e il vigneto: “Mi sono innamorata dell’uva e del vitigno”, mi ha raccontato. Il vino, infatti, era già una cosa di famiglia: nella tenuta di caccia della contrada di Mezzana, dove si trova ora la cantina, il papà di Enza produceva vino per un consumo familiare. I vitigni erano, ieri come oggi, Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Nocera e Nero d’Avola. Enza li studia, da autodidatta ne impara i limiti e i pregi. Sono queste le uve che compongono la denominazione d’origine controllata “Faro di Messina”, da cui questa cantina ricava ogni anno buona parte della sua produzione (17 mila bottiglie tra vini e grappe).
La Tenuta oggi è condotta con metodi naturali (biologici), in vigneto si cerca di rispettare al massimo i terreni, con interventi prevalentemente manuali, senza utilizzo di diserbanti o pesticidi chimici: in una zona vocata come questa “non è necessario fare nulla che non sia nel ciclo naturale della pianta”. I venti di Scirocco e di Tramontana, infatti, riducono notevolmente i rischi di patologie della vite e i ceppi affondano le radici su terreni composti prevalentemente di argilla e di calcare, con tracce di mica dorata. Ne derivano prodotti con una spiccata mineralità e freschezza, e una fortunata tendenza alla longevità. Su queste basi si fonda il lavoro dello staff della Tenuta Enza La Fauci: composto da Emiliano Falsini, Giovanni Spignolo e Fabio Signorelli per la parte enologica e agronomica e, per la parte agricola, da Vincenzo Avellina con il suo gruppo di giovani agricoltori che provengono da Maletto, piccolo paese sull’Etna.
I VINI – Quattro le etichette dell’azienda (più tre grappe), che nel suo logo riproduce le sirene che, nell’Odissea di Omero, provarono a incantare Ulisse con il proprio canto proprio nel mare al largo di Capo Peloro. Il legame con la Sicilia è viscerale, lo si vede chiaramente in tutte le etichette che si ispirano alla mitologia del luogo, quella di Scilla e Cariddi, e all’orografia del panorama. Oblì Faro Doc è senza dubbio il vino di punta della cantina: affinato un anno in barrique e poi in bottiglia dai 6 ai 9 mesi, dotato di una forza espressiva, degna dei migliori rossi italiani e francesi. Oblì è un vino dai profumi intensi e dalla buona acidità, che lo rende adatto al lungo invecchiamento. La sua etichetta parla dello stretto di Messina e riproduce il panorama che si vede dalle colline su cui sorge la cantina.

Tenuta Enza La Fauci, a Messina
Una nota di merito anche per il bianco “Incanto”, vino prodotto con le uve della tipologia “Grecanico”, provenienti dal vulcano Etna, a 1.200 metri d’altezza. Un vino di classe, che fermenta e matura per breve tempo in barrique, prima di passare in bottiglia. La coltivazione di questi vigneti è affidata a dei viticoltori locali che forniscono da diversi anni le uve alla cantina di Messina.
Enza è una donna infaticabile, come altre produttrici siciliane di vino. E’ sempre lei, in prima persona, a girare il mondo per promuvere la propria cantina, la sua amata Sicilia e il vino Made in Italy. Tra i suoi ultimi progetti c’è il recupero del vitigno Zibibbo dello Stretto di Messina, chiamato in dialetto siciliano “u zibibbu du Faru”. Quando ho visitato la Tenuta, gli operai erano intenti a liberare dagli arbusti e rinforzare un terrazzamento, per poter impiantare nuove viti di Zibibbo. Questa sarà la nuova scommessa. Quest’uva rara cresceva nella zona dello stretto di Messina proprio sulla sabbia, in prossimità del mare. I contadini locali facevano un vino dolce, ma con il passare degli anni la sua coltivazione fu abbandonata.
Enza, basandosi sui racconti di suo nonno, intorno nei primi anni del Duemila è riuscita a recuperare questo vitigno zibibbo, bussando letteralmente alle porte delle case dei contadini: alcuni sono stati più collaborativi, altri meno, ma Enza è riuscita comunque a trovare quello che cercava e, dal 2012, produce il “Case Bianche” (dal nome della contrada Casa Bianca in cui crescevano le uve, dove da piccola ho passato meravigliose estati al mare). Si tratta di un Igt terre siciliane che è stato premiato diverse volte dalla critica enogastronomica italiana. Ma, per Enza, la più grande soddisfazione è far si che questo zibibbo recuperato con fatica possa essere riconosciuto come vitigno autorizzato della provincia di Messina, visto che per ora lo è solo in provincia di Trapani. Nel frattempo, Enza ha deciso di impiantare 2.800 piante per arrivare dalle attuali 1.800-2.500 bottiglie di Case Bianche a circa 6.000 bottiglie. Lei crede nel suo territorio. E anche io.
4 commenti
Cara Ada
grazie per le ore trascorse insieme in cantina e per avere dedicato al mio lavoro la tua meravigliosa penna. Amo il tuo modo di scrivere, semplice, diretto, immediato senza giri di parole . Conosci e scrivi su ciò che apprezzi ed ami !
Certamente la “sicilianità ” – che ci accomuna- traspare in quello che fai , nei piatti che proponi e nei colori che scegli : sapori intensi, tinte forti, mai banalita’ e tanta autenticità.
Grazie per il tuo impegno !
Enza La Fauci
Ciao Enza, il piacere è stato tutto mio. Non avrei mai pensato di scoprire una azienda così interessante a due passi da casa mia, né di ritrovare in un vino quell’uva zibibbo che mangiavo da piccola a Casa bianca. A presto, Ada
quanti ricordi, quanti profumi, l’uva zibibbo, la vendemmia,il vino come una volta. brava!!! un saluto a te e al mio ex compagno di liceo.
Ciao Giacomo, grazie e benvenuto. Un caro saluto a te.