Dalla semplicità di Roberto Petza e Pino Cuttaia ai percorsi gastro-culturali di Massimo Bottura passando per le armonie di Sang Hoon Degeimbre e la raffinata anima contadina di Kobe Desramaults. Le strade della mozzarella 2015 si sono aperte e chiuse a Paestum in un equilibrio giocato sugli antipodi: tradizione e innovazione, semplicità e elaborazione estrema, innocenza e travestimento. Un carnevale di piatti, alcuni dei quali non lasceranno probabilmente il segno, altri che resteranno nella memoria: tutti hanno messo in primo piano la mozzarella di bufala campana Dop.
Come da copione (come sempre magistralmente scritto da Albert Sapere e Barbara Guerra) sul palco si sono alternati chef stellati italiani e stranieri che hanno dato la propria interpretazione di un ingrediente sulla cui straordinarietà tutti concordano. Meno concordi sono gli chef su come usare la mozzarella: ci sono i fautori della purezza, come Igles Corelli che si è volontariamente limitato ad aromatizzarla in un gioco complesso di modernissime tecniche, o Roberto Petza che l’ha presentata al naturale in uno straordinario dolce senza zuccheri aggiunti, o la pasta ‘da combinare’ di Rosanna Marziale. Ci sono poi gli chef che interpretano non la sola mozzarella, ma in genere la tradizione culinaria italiana o anche i propri ricordi, trasformandola in gel per una pasta al forno senza forno vegetariana a base di ragù di seitan (Cristina Bowerman), in un formaggio grattugiato che riveste melanzane candide (Heinz Beck), in una nuvola di farina di latte di mozzarella ottenuta attraverso un procedimento tecnicissimo che solo Massimo Bottura può descrivere in modo poetico.
Nei miei due giorni a Paestum ho cercato di assaggiare i piatti che più mi incuriosivano, di imparare qualcosa dai grandi chef ma ovviamente non ho potuto essere dappertutto (per l’ubiquità mi sto attrezzando). Ho trovato perfettamente centrati, i piatti di due ospiti stranieri, casualmente e straordinariamente entrambi del Belgio, che nella mia personale classifica conquistano due dei tre posti del podio dei piatti migliori: lo chef di origini coreane Sang Hoon Degeimbre e Kobe Desramaults. Il piatto di Degeimbre, vegetariano, è un piatto contemporaneo, dall’estetica delicata, variegata e perfetta cui corrisponde altrettanta varietà e perfezione nei sapori, giocati su toni complementari di acidità tra latticini (l’acqua di governo e la mozzarella), kimchi, verdure fermentate, purea di topinambur ed erbe aromatiche.
Quello di Kobe Desramaults, già visto e apprezzato a Identità Golose, è un piatto che reinterpreta il ricordo dell’abbinamento infantile tra patate e formaggio, utilizzando la tecnica della cottura delle patate all’interno di un guscio in argilla e sfruttando le erbe spontanee come l’acetosella, raccolta nella pineta di Paestum; Kobe mescola patate, porri e gorgonzola di bufala in una crema saporita ricoperta da bucce di patate arrosto e polvere di porri.
Il terzo piatto che per me sale sul podio è quello di Roberto Petza: un dolce, ma anche un delicato antipasto, dove la mozzarella è servita al naturale in un succo di arance rosse, mandorle fresche, mele verdi in infusione di acetosella, pomodoro e un freschissimo sorbetto di mela verde e acetosella. Un piatto dalla tecnica semplice, come ha ammesso lo stesso Petza, che ha spiegato di volere fare una cucina “che dia emozioni nel mangiarla”. E riuscendoci perfettamente.
Degni di nota i siciliani Pino Cuttaia, che ha avuto l’onore e l’onere di aprire il congresso, e Ciccio Sultano. Il primo ha usato la ricotta e non la mozzarella, per creare un piatto semplicissimo: un finto uovo dove la ricotta si finge albume, con un tuorlo (tutto poi cotto al vapore pochi istanti), erbe spontanee, favette e asparagi appena sbollentati, crema di piselli, bottarga di tonno e colatura. Il piatto paga pegno solo per un eccesso di sapidità.
Ciccio Sultano conferma la sua vocazione barocca che si ispira alla tradizione con un carciofo abbrustolito (alla fornacella) su mozzarella di bufala, pomodori e peperoncini canditi con miele e sciroppo di zucchero, brodo di pollo alla siciliana (preparato con il Marsala) e tartufo bianchetto. Anche qui un bel piatto, forse il più gustoso e vicino all’umana visione di una cucina che come scopo vuole stupire, ma anche saziare.
Un po’ meno convincente la performance dei simpaticissimi e travolgenti fratelli Costardi, che lo scorso anno mi avevano entusiasmata. Stavolta hanno preparato due piatti, il primo dei quali mi ha lasciata perplessa: una pasta cotta in un liquido composto al 70% di acqua normale e al 30% di acqua di governo della bufala e poi riposata ancora nell’acqua di governo, con pomodori San Marzano, pesto di basilico (senza aglio), polvere di capperi, estratto di peperoncino e una crema di mozzarella che viene bruciata con il cannello per diventare filante prima di essere servita. La temperatura di servizio non ottimale (troppo fredda) e l’eccesso di brodo di cottura nel piatto non hanno aiutato la preparazione. Azzeccato invece il secondo piatto, un gelato di pasta (o meglio fatto con il latte in cui la pasta ha cotto per un’ora e mezzo a 70 gradi in modo da cedere sapore), meringa croccante, panna di mozzarella di bufala e pomodoro.
Due grandi prove tecniche e di ricerca quelle di Cristina Bowerman e di Heinz Beck. La chef dell’Hostaria Glass, unica donna chef ambasciatrice di Expo 2015, prepara un piatto dove lo studio e la passione per la sperimentazione trapelano da ogni passo, anche se evocare la pasta al forno e poi presentare un piatto molto diverso è sempre un rischio nella tradizionalista Italia. Cristina ha preparato il seitan a partire dalla farina forte e quindi ricca di proteina e, attraverso varie fasi, è giunta a ottenere un panetto che ha cotto nel latte di bufala. Quindi ha tritato il tutto ottenendo la consistenza del macinato e ha preparato un ragù di stampo tradizionale. Ha affumicato dei pomodori al barbecue per dare la nota ‘bruciata’ tipica della crosta della pasta al forno e ha riempito gli ziti (anche qui penalizzante la cottura, decisamente eccessiva, della pasta), con un gel di mozzarella di bufala (un sapore poco presente però nel piatto). Infine, ha affumicato e sbriciolato un po’ di pasta con il pomodoro per rinforzare la nota bruciata del tutto.
Il pluristellato Heinz Beck, sempre umile, simpatico e misurato, conferma la propria vocazione non solo di grandissimo chef ma di appassionato studioso con un enorme rispetto per le materie prime e la salute dei propri ospiti e prepara un piatto ispirato all’idea della caprese e uno alla parmigiana. Il primo sono dei tortellini con una farcia di basilico (sbollentato, passato in ghiaccio, frullato con olio extravergine e poi passato in azoto liquido) su un’acqua di pomodoro mantecata con burro di bufala e mozzarella disidratata. Il secondo piatto, che mi è piaciuto molto per la freschezza, l’acidità equilibrata e la leggerezza, sono delle melanzane bianchissime (cotte in microonde a intervalli di 30 secondi) su un’acqua di pomodoro trasparente leggermente legata (con il kuzu, una radice giapponese che è anche un gastroprotettore) e una crosta di mozzarella, crostini di pane e prezzemolo anche in questo caso realizzata con azoto liquido.
Interessante e tecnico il soufflé di mozzarella di bufala di Ernesto Iaccarino, che affronta la grande sfida di ‘legare’ l’acqua in una preparazione che la vede come principale nemica. E, mentre si gusta un soufflé leggero, con una mozzarella filante, racconta di tre mesi di sperimentazione nel campo degli addensanti per arrivare a un risultato eccellente. Unica nota stonata la mancanza di sapidità nel piatto: gli spaghetti soffiati, il pomodoro, la neve di mozzarella e il pesto di basilico non bastano a dare quel tocco salato che esalterebbe l’eccellente soufflé.
Applauso per i dolci non dolci di Jacques Genin, che presenta un bignè con ricotta di bufala, panna e latte di bufala senza zucchero nel ripieno, con una glassa all’olio di oliva extravergine e basilico e una terrina di rape rosse e ricotta di bufala con germogli di anice e barbabietola rossa. Quando gusto, salute e raffinatezza si incontrano.
A chiudere la manifestazione è Massimo Bottura. Il pubblico vuole essere sorpreso, aspetta il coup de theatre e lo ottiene: lo chef tristellato si concede con generosità, parla delle sue visioni che sono culinarie ma anche culturali, condivide ciò che lo stimola e che lo ispira e parla di un argomento che gli sta a cuore, il riciclo. Perché l’undicesimo comandamento è ‘non buttare’. E siamo tutti d’accordo. Poi arriva l’arte, che da sempre lo motiva e lo aiuta a creare: la mozzarella di bufala si mescola ai dipinti di Andy Warhol sui trans gender dell’East Village e nasce ‘Il bufalo che voleva diventare bufala’, allusione ai bovini maschi che nessuno ama e che nessuno vuole perché non danno il prezioso oro bianco necessario per la mozzarella. E qui ecco che Bottura tira fuori l’ingrediente principale: i coglioni di bufalo. Si, coglioni, testicoli. In senso letterale, perché non sono altro che una parte carnosa dell’animale e, come tali, atti a essere mangiati. Qualcuno ride, qualcuno sgrana gli occhi: oggi mangerà palle di bufalo. Spadellate con olio, aglio, peperoncino e prezzemolo e poi cotte a bassa temperatura e tagliate sottili, adagiate su un brodo mediterraneo di erbe aromatiche, olive, capperi, origano e mantecato con olio, spolverizzate con polvere di limone bruciata (decisamente troppo presente, troppo acida, tanto da minare pericolosamente il risultato finale) e guarnite con una crocchetta di farina di mozzarella di bufala (si estrae il latte dalla mozzarella, si bolle fino a fare affiorare il grasso, si disidrata il liquido per creare una farina che si reidrata con siero di bufala ottenendo una spuma da sifonare e cuocere come una meringa).
E se il bufalo vuole diventare una bufala, anche il secondo piatto di Bottura è un vorrei, ma forse non posso, perché è il Nord che vuole diventare Sud: omaggio alla pizza che viene rievocata nei profumi con ingredienti che con la pizza nulla hanno a che vedere. La pasta della pizza è polenta cotta, raffreddata, passata al setaccio con latte di bufala e poi disidratata, quindi reidratata e cotta in forno fino a diventare piccoli spuntoni croccanti. Il pomodoro concentrato è cotto in forno con origano per simulare il denso pomodoro bruciato della pizza, ci sono i pezzetti di alici e la mozzarella è simulata da un risotto cotto in un estratto di brodo di mozzarella (come il mitico risotto cacio e pepe). Un piatto interessante, dove i profumi sono fortemente mediterranei. Ma può il Nord davvero diventare Sud? Forse no, e forse neanche lo vuole.
DOVE DORMIRE: anche quest’anno ho scelto l’Oleandri Hotel Paestum, un resort incantevole nella cui piscina desidero tuffarmi da due anni senza fortuna, visto che Le strade della mozzarella sono un impegno a tempo pieno. Quest’anno ho avuto modo di provare anche il ristorante, dove potrete gustare una raffinata cucina campana rivisitata.