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Recensioni: Buatta, i piatti di una volta nel cuore di Palermo

by Ada Parisi
5 min read

 

La “buatta”, in siciliano, è il contenitore, per lo più metallico, in cui era venduto il pomodoro pelato, ingrediente simbolo della cucina dell’isola e indispensabile per creazioni come la pasta alla norma, la caponata, la parmigiana.  Si intuisce, quindi, già dal nome che al ristorante “Buatta – cucina popolana” si va per gustare la tipica cucina palermitana. E davvero in questo locale, situato tra il Cassaro e la Vucciria, zone ad altissimo tasso turistico, dove troppo spesso la ristorazione è diventata di massa, con locali e menu fotocopia, è ancora possibile assaporare le tipicità cittadine, grazie a prodotti di qualità e rispettosi della tradizione. Buatta ha scelto di recuperare le antiche ricette nella loro forma originale, partendo da un luogo altrettanto antico: la Valigeria Quattrocchi 1870, ristrutturata in modo da conservarne il carattere originario nei tipici pavimenti a scacchi in bianco e nero e nelle colonne di ghisa che costellano la sala in stile liberty.

La cucina di Buatta è completamente a vista e la brigata lavora in modo che chiunque possa vedere le preparazioni (anche dalla strada) nell’ottica di una trasparenza che parte dai fornelli e si conclude nel piatto, attraverso un percorso di valorizzazione di materie prime locali, fornite per lo più da piccoli produttori, con un occhio di riguardo ai presidi slow food. Tra questi: le lenticchie di Ustica, il cappero di Salina e l’aglio di Nubia. Con Buatta, gli ideatori Franco Virga, Stefania Milano e Davide Bicocchi vogliono ritornare alla tradizione. Per farlo si sono affidati allo chef Fabio Cardillo, che varia i suoi menu a seconda della stagionalità dei prodotti e del pescato. Vi consiglio di provare la “degustazione Buatta”, per farvi una idea dello street food palermitano ma anche di alcuni piatti chiave del territorio: panelle, crocché di patate, lo sfincione, la caponata e le classiche melanzanine “abbuttunate” , ossia farcite con menta, provolone e cotte nel sugo: uno dei piatti d’altri tempi, di cui si è quasi persa la memoria.

 

 

Il ristorante offre una cucina che non assaggiavo più da tempo nei ristoranti, ossia la vera tradizione palermitana, ben eseguita e senza variazioni. Una cucina che ha alcune peculiarità rispetto ad altre parti della Sicilia. Così, in carta potrete trovare piatti da veri gourmet siciliani, quelli che un tempo preparavano i monsù: dal fresco bollito all’insalata (8 euro) con verdure e olive, condito con olio extravergine di oliva siciliano e pepe nero, fino  allo sfincione (5 euro), che avrei preferito un po’ più alto e con un condimento più deciso.

Tra gli antipasti, merita un assaggio (magari collettivo, vista la quantità di calorie) il caciocavallo all’argentiera (7 euro), con un goccio di aceto e il profumo del rosmarino fresco. In carta ci sono anche le classiche sarde a beccafico e l’insalata di polpo (7 euro) e un’ottima parmigiana di melanzane (7 euro), dal sapore antico. Buono soprattutto il sugo di pomodoro usato, con quella nota zuccherina e acidula insieme propria dei migliori pomodori siciliani.

 

I primi piatti sono tutti realizzati espressi, con pasta di Gragnano: ho provato il classico bucatino con sarde e finocchietto (10 euro). Cottura della pasta al dente, ricca di sarde, avrei solo preferito una maggiore quantità di finocchietto per un aroma più intenso e un sugo leggermente più ristretto. Nel complesso comunque più che soddisfacente.

Promosso anche il piatto tipico della domenica siciliana: gli anelletti al forno alla palermitana (senza le melanzane) conditi con ragù, scamorza e uova sode (7 euro). Servito in monoporzione, con la classica crosticina brunita, gli anelletti erano anche a un punto di cottura accettabile nonostante siano stati ovviamente preparati in anticipo. Il problema dei timballi, anche a casa, è sempre quello della pasta scotta. Per questo motivo li ordino raramente. Devo dire che, invece, da Buatta vi consiglio di provare gli anelletti al forno, perché meritano l’assaggio. In carta, anche il bucatino con le anciove (le acciughe, a 9 euro), l’immancabile pasta alla Norma (9 euro) e un piatto che mangiavo sempre da piccola ma straordinario nella sua semplicità: gli “spaghetti pic pac” (8 euro) conditi con pomodori pelati, soffritti in olio extravergine d’oliva e aglio rosso di Nubia. In carta, si trova sempre anche una proposta di zuppe a base di legumi, servite con o senza la pasta (8 euro).

I secondi variano tra la carne (da 8 a 12 euro) e il pesce (da 10 a 12 euro). Vi consiglio di provare l’arrosto panato alla palermitana: una fetta di manzo spessa circa 1,5 centimetri, marinata in olio extravergine e impanata con pane grattugiato e origano, cotta alla griglia: morbida e succulenta. Oppure le polpette al sugo di pomodoro. Tra i pesci, fatevi tentare dal pescato del giorno all’eoliana, servito con pomodori, olive verdi e capperi. oppure dalla frittura mista del giorno.

Si conclude in dolcezza (5 euro) con il cannolo siciliano, le cassatelle al forno, le crostate di crema e frutta. Il cannolo siciliano, in particolare, è abbastanza grande per due persone ed è ovviamente riempito di ricotta sul momento.

Il servizio è dinamico e cortese. A cena non si accettano prenotazioni e, visto che il posto è spesso affollato, vi consiglio di anticipare la cena intorno alle 20. A pranzo, invece, è possibile prenotare un tavolo. Un indirizzo da tenere sicuramente presente in un itinerario palermitano. Buona la proposta di birre artigianali siciliane. Ovviamente, si può ordinare un vino tipico scelto tra le migliori etichette dell’isola. Decisamente consigliato.

 

(visitato nel luglio 2017)

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