La mano del maestro batte lenta, precisa, a ritmo cadenzato, per dare forma ed essenza a uno dei metalli più preziosi: è la liturgia del suono degli antichi ramai, che ancora oggi si ripete nel laboratorio di Luigi Pitzalis, a Isili, in Sardegna. In questo paese del Sarcidano, una delle zone di produzione del grano senatore Cappelli, di ottime seadas, di culurgiones con patate e di eleganti tessuti, si conserva ancora l’arte della lavorazione del rame. Nella bottega artigiana di famiglia, Luigi e i suoi due figli, Andrea e Paolo, portano avanti con orgoglio un mestiere che negli ultimi quaranta anni è andato lentamente scomparendo. Nel lontano 1973, infatti, Isili era la capitale del rame in Sardegna, con circa cinquanta artigiani all’opera e una fiorente economia fatta di produttori, distributori e venditori che rifornivano di rame l’intera isola e non solo, visto che si spingevano fino in Corsica e fino al Continente italiano. Oggi, nel 2019, è rimasta solo la famiglia Pitzalis a svolgere questo mestiere. Ed è questo il motivo che ci ha spinto a bussare alla porta del maestro Luigi per raccontare attraverso questo video il lavoro del ramaio, un lavoro che ha secoli di storia alle spalle ma che oggi è straordinariamente capace di sorprendere per modernità.
L’idea di approfondire il tema della lavorazione del rame ci è venuta dopo una visita al Marate, il Museo del rame e del tessuto di Isili. Siamo rimasti colpiti dalla bellezza, dalla ricchezza e dall’eleganza delle creazioni esposte nelle sale, che ospitano anche meravigliosi tessuti sardi fatti con i telai a mano, di ieri e di oggi. Attraverso gli oggetti di uso quotidiano, come padelle, pentole, attrezzi da cucina, il museo racconta la storia di una intera comunità e le sue tradizioni. Intere famiglie vivevano attorno all’economia del rame. E’ stato un particolare oggetto a suscitare il nostro interesse: il piatto della caccia (su prattu de cassa, in lingua sarda), un oggetto in rame stagnato che potrebbe risalire al periodo rinascimentale e che ancora oggi sopravvive grazie alla mano del maestro Pitzalis. Nel realizzare questo oggetto, utilizzato in alcuni ristoranti della Sardegna (per esempio a Oliena) e anche nelle case di molti privati cittadini, il maestro Luigi Pitzalis ci conduce con il suo racconto in un viaggio indietro nel tempo, quando le fucine ribollivano per il calore del fuoco e il rumore del martello che batteva il disco di rame era ovunque, una eco continua a diffusa in tutta Isili.
Arte del rame e del tessuto, proprio ad Isili, avevano trovato uno straordinario e fertile connubio: ed entrambi i mestieri, oggi, sono roccaforti difese da pochissimi, che continuano, al telaio e in fucina, a portare avanti la tradizione che rese Isili grande. E se i tessuti oggi sono diventati opere d’arte da museo o pezzi unici riservati a pochi appassionati, l’arte del rame è forse rimasta oggi un po’ più legata alla quotidianità: rispetto al passato, c’è sicuramente meno richiesta di pentole, padelle, stampi per dolci, fioriere. Ma vengono apprezzati gli oggetti d’arte: appliques, lampadari, quadri a sbalzo, oggetti ornamentali, oggetti sacri per le chiese. Soprattutto in Sardegna e nelle regioni dove la pastorizia e l’arte di fare il formaggio sono ancora diffuse, c’è inoltre una forte domanda di caldere in rame e di attrezzi in rame per fare il formaggio. Ma c’è anche la necessità di fare manutenzione alle caldere già esistenti, che periodicamente devono essere rivestite con lo stagno da mani esperte. Sono lontani i tempi in cui, in ogni casa, il corredo delle future spose comprendeva preziose pentole in rame. E sono altrettanto lontani i tempi in cui si viaggiava fino in Corsica per vendere oggetti e per stagnare le caldaie dei pastori, e in cui la concorrenza reciproca era molto forte.
Luigi Pitzalis è figlio e nipote di artigiani del rame, ma definirlo un ramaio è riduttivo: è un conoscitore esperto della storia del rame e di questo mestiere, e non solo per quanto riguarda la Sardegna. Ha un interesse quasi filologico per gli antichi utensili, per l’origine delle cose. Attraverso i suoi ricordi e il carretto con la copertura di canne intrecciate ospitato in cortile si riesce ancora ad immaginare il nonno che viaggiava di fiera in fiera vendendo i suoi oggetti in rame, richiesti nell’Isola ma anche nel Continente. Oggi le cose sono cambiate. In Corsica, l’ultimo artigiano del rame è morto nel 1995. In Italia, i luoghi di lavorazione del rame si stanno riducendo sempre di più, dal Trentino al Canavese (Piemonte), passando per alcuni piccoli maestri che operano nelle zone di Lucca e Pistoia, in Toscana, dove la produzione e la lavorazione del rame è quasi scomparsa. In provincia di Napoli, a Sant’Anastasia, restano ancora attive alcune storiche aziende così come in qualche paese del Lazio, dell’Abruzzo e del Molise. Il ramaio è un lavoro difficile, che si impara da bambino. L’apprendistato di un ramaio dura due anni, ma ce ne vogliono almeno cinque per essere in grado di fabbricare un pezzo interamente a mano, che sia di buon livello.
Il piatto della caccia (“su prattu de cassa”) è diventato, in un certo senso, il simbolo del lavoro di Luigi Pitzalis, che ha voluto recuperare questo oggetto andando a ricostruirne la storia, che sarà materia di un libro. Nei lontani Anni Ottanta, in una fiera a Sassari, il maestro Pitzalis conobbe un cittadino che gli mostrò il piatto della caccia realizzato in latta, ma dicendo che originariamente era fatto in rame. Questa fu la molla che spinse il maestro Pitzalis a riprodurre in rame questo piatto elegante, composto da due contenitori quasi identici che si incastrano perfettamente. La storia di questo piatto è antica: si ritrova, in forme simili (con o senza manico), in alcuni dipinti veneziani del 1500. Anticamente era usato per cuocere le carni sul fuoco, quasi come se fosse una pentola a pressione ante litteram. Ogni anno, Luigi Pitzalis produce circa 50 piatti di questo tipo, in tre misure differenti. La misura media, che vedete nel video, costa 180 euro se il piatto è realizzato interamente a mano. Invece, costa 120 euro se realizzato con il tornio. I costi delle materie prime sono alti. Per fare solo pochi esempi: il rame costa 15 euro al chilogrammo e per un piatto di media dimensione occorrono quasi due chili di rame. Mentre lo stagno costa 35 euro al chilo e per stagnare un utensile di media dimensione ne servono 200 grammi circa. La manodopera, l’esperienza e la pazienza del maestro fanno il resto del prezzo. Ma dovete sapere che il rame è un metallo rinnovabile nel tempo e che la lavorazione di un maestro ramaio lo rende un utensile complesso e unico, che dura per sempre.
Per costruire il piatto della caccia (su prattu de cassa), il maestro Pitzalis parte dal foglio di rame semilavorato, che oggi arriva in laboratorio sotto forma di lamina rettangolare o rotonda. Il maestro batte il foglio con un martello completamente a mano, in una serie di passaggi ripetuti e lenti. C’è una liturgia della posizione del ramaio: seduto su uno sgabello in legno, le gambe sostenuta da tasselli, in un equilibrio che sembra funambolico. La posizione delle gambe determina il punto esatto in cui il martello va a battere. E c’è una precisa liturgia anche del suono: quello del martello (di metallo o di legno) che batte e ribatte la lamina, ora per indurirla, ora per decorarla, ora per renderla uniforme. E’ un suono musicale e armonico, come quello di una musica sacra. Al ritmo del martello si può anche improvvisare un ballo.
La lavorazione del rame ha bisogno di molta pazienza: durante la battitura, la lamina si comprime e si indurisce. Per poterla lavorare al meglio, si deve scaldare più volte a circa 500-600 gradi. Dopo la terza lavorazione, che dà la forma definitiva al pezzo, il maestro procede a battere nuovamente il bordo, in modo da indurirlo e poi potere applicare il cerchio in ferro zincato che renderà rigido il piatto, aiutandolo a mantenere la forma. Nella parte finale, il maestro Luigi Pitzals martella tutta la superficie del piatto, sia per dare durezza e struttura all’oggetto, sia per un fattore estetico, decorando con dei cerchi uniformi. Poi arriva la fase più difficile, quella dell’accoppiamento: i due piatti, infatti, devono combaciare e chiudersi perfettamente, in modo ermetico. Tutto il lavoro preparatorio viene fatto battendo a mano i singoli elementi, separatamente. I due piatti si portano a misura definitiva solo dopo la stagnatura, quando l’interno degli utensili diventa lucido come uno specchio, come l’argento liquido.
GLI USI IN CUCINA. Il piatto di caccia (su prattu de cassa) è diviso in due metà e ha diversi usi in cucina. Abbiamo sperimentato di persona alcune ricette della tradizione sarda, utilizzando questo oggetto di rame per la prima volta. Innanzitutto, entrambi i piatti che lo compongono possono essere usati come una padella, corpargendo d’olio il fondo e usandoli per saltare i cibi, rosolarli e friggerli. L’aspetto del prattu de cassa (il piatto della caccia) è simile a quello di un wok cinese, per via del fondo tondeggiante. Quindi, l’unica accortezza è quella di usare un riduttore per wok poggiato sul fornello, in modo che il tegame non oscilli. Quando avrete rosolato il cibo, nel mio caso un agnello con patate e carciofi e una anguilla in umido, dovete coprire con l’altra metà del piatto. La chiusura, praticamente ermetica, fa in modo che in presenza di un liquido, si crei del vapore: i cibi cuociono più velocemente, i sapori non si diluiscono e le carni, ad esempio, restano più morbide. La lavorazione del rame può e deve vincere la sfida con la modernità, gli artigiani lungimiranti come Pitzalis sanno mantenere la tradizione e innovarla, sanno ricordare e guardare avanti.
L’INDIRIZZO:
Bottega Luigi Pitzalis ramaio
www.luigipitzalis.it
via Giovanni XXIII, 10
08033 Isili, Sardegna
email INFO@LUIGIPITZALIS.IT
2 commenti
Molto interessante questi articolo
Grazie
Un bacione
grazie a te